lunedì 30 marzo 2015

Per i nostri giovani

Sono il futuro delle Contrade. Li guardiamo con orgoglio quando indossano le monture con i colori amati o quando svolgono il servizio in Società. Li guardiamo con apprensione quando esagerano nell’esprimere la loro esuberante vitalità. Sono i giovani contradaioli: possiamo dire di conoscerli veramente? Eppure siamo stati ragazzi anche noi: non è mica passato un secolo!
Qualche volta ci preoccupa il loro stile di vita. Siamo diventati bacchettoni? Forse in passato abbiamo fatto gli stessi sbagli e vorremmo semplicemente parlare con loro, per metterli in guardia. Ma quant’è difficile parlare con loro!
Allora abbiamo scritto un questionario. Anonimo. Ci siamo fatti raccontare del loro rapporto con l’alcol e con i genitori, con le “canne” e con l’amore, con i “social” e con lo studio. Poi una sera li abbiamo portati nel Leocorno. Non avevano tanta voglia di venire. Li abbiamo dovuti attirare con la promessa (mantenuta) di grandi quantità di pizza e di ciaccino con la nutella.
Ad attenderli, oltre ad un salone che non avremmo mai sperato di riempire come invece è successo, c’era uno psicologo di Arezzo: si chiama Luca Deganutti ed ha fondato un centro di solidarietà; lavora con i ragazzi che hanno provato di tutto fuorché una vita facile. Alcuni di questi ragazzi erano con lui ed hanno raccontato le loro storie. A quel punto, però, gli adulti si erano allontanati, per non alimentare imbarazzi con la loro presenza. Lasciamo dunque la parola a chi è rimasto ad ascoltare:
A prima vista il salone dove si sarebbe svolto l’incontro poteva apparire immenso, dispersivo. Le sedie accuratamente disposte in cerchio avrebbero però favorito la socializzazione e la complicità tra ragazzi… e così è stato. Man mano che i gruppetti dei giovani delle consorelle si sono seduti si è venuto a creare un unico grande gruppo, non più piccole realtà frammentate. Dopo una breve introduzione da parte dello psicologo, a cui in pochi sembravano dare ascolto, sono stati proiettati dei video. Anche questi non hanno colpito più di tanto l’attenzione dei ragazzi che hanno continuato indisturbati a parlare dei fatti propri con gli amici seduti accanto oppure a ‘spippolare’ con il cellulare. Poi, all’improvviso, tutto è cambiato… l’attenzione si è proiettata tutta in un’unica direzione, i volti si sono fatti più seri… sì, tutto è cambiato quando i ragazzi della comunità di recupero per tossicodipendenti di Arezzo hanno raccontato con il cuore in mano le loro storie: storie di droga, di criminalità, di dipendenza… storie di dolore. Le loro testimonianze dirette hanno colpito nel segno. Nel salone è calato un silenzio assoluto. I quattro ragazzi testimoni viventi di vite allo sbando erano come illuminati da un grande occhio di bue. I discorsi futili fatti fino a quel momento potevano essere rimandati: era ora di ascoltare, con le orecchie ma soprattutto con il cuore. Alcuni dei nostri ragazzi sono intervenuti nella fase di dibattito conclusiva con piccole confessioni e considerazioni personali. Forse, nonostante l’era dei mass-media, della comunicazione istantanea, degli smart-phone e dei social network, il valore umano della comunicazione diretta e non virtuale, il guardarsi dritti negli occhi e l’ascoltare le modulazioni delle voci che trasmettono sentimenti ed esperienze hanno ancora un grande significato.”







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