martedì 19 novembre 2013

Continuare ad essere una Contrada o tornare ad essere una Brigata? di Alessandro Leoncini


Una domanda, questa, che a qualcuno può apparire sibillina e ad altri, invece, inguaribilmente retorica. In realtà non è né l’una né l’altra cosa, anzi, è piuttosto pragmatica e attuale.
Le Contrade, tutte, senza eccezioni, da qualche decennio stanno affrontando (o forse subendo), una trasformazione radicale: per la prima volta nella loro storia lunga più di cinque secoli – mezzo millennio! – si trovano a vivere, a crescere, a mantenere in vita una tradizione pur essendo prive di quello che, fino a pochi anni fa, era il loro naturale terreno di coltura: il rione, cioè la vera e propria contrada (con la c minuscola, poiché contrada e rione sono la stessa cosa).


Alle loro origini, però, le Contrade non erano così legate al territorio, tant’è vero che nelle descrizioni delle feste tenute tra Quattrocento e Cinquecento vengono ricordate come “schiere” (1424), “brigate” (1494) o “compagnie” (1506). Vocaboli che possono essere interpretati come sinonimi di squadre che partecipavano alle feste, alle gare tenute in piazza del Campo. È solo dal Cinquecento inoltrato che s’inizia a parlare di Contrade: quando ormai queste associazioni si erano legate ai rispettivi rioni così stabilmente da essere identificate nei rioni stessi.
Dagli anni Sessanta del secolo scorso il legame tra Contrada e rione, che pareva indissolubile, si è dissolto, e oggi coloro i quali erano tradizionalmente definiti “nativi e abitatori” sono una minima parte dei contradaioli. Più numerosi sono invece i “geniali”, cioè i figli nati da genitori appartenenti alla Contrada. Probabilmente, però, la componente che si avvia a essere più numerosa, almeno tra i giovani, è quella costituita da coloro che hanno scelto liberamente di aderire a una Contrada senza avere con essa nessun legame personale o familiare.
A questo punto è inutile distinguere se è più contradaiolo un ragazzo nato nel rione oppure uno che invece è arrivato in Contrada quando ha avuto l’età di uscire di casa da solo e decidere quale ambiente e quali amici frequentare. Una distinzione inutile e, soprattutto, anacronistica: contradaiolo oggi è chi ama e comprende le nostre tradizioni.
Quando il rione era abitato solo da senesi, alle nostre assemblee generali partecipavano in media una trentina di persone, tutte di sesso maschile. Ora che il rione si è in gran parte svuotato dei suoi naturali abitanti, alle assemblee partecipano settanta, ottanta e anche più contradaioli di entrambi i sessi. È innegabile che nei confronti della Contrada ci sia più attenzione ora di qualche anno fa.
A questo punto è naturale porsi una domanda (retorica): l’attenzione dei contradaioli è rivolta anche alla Contrada o è dedicata solo al palio? Cos’è che desta l’interesse dei contradaioli: l’istituzione tradizionale della Contrada, o soltanto la gara, vissuta come l’aspetto più emozionante e coinvolgente della vita contradaiola? La risposta è ovvia e scontata.
È però opportuno valutare un aspetto non secondario: il palio trova la sua unicità, il suo fascino, non tanto nella bellezza della piazza del Campo, non solo nella coreografia della passeggiata storica, ma soprattutto nel suo passato, nella sua vita, ininterrotta ma sempre diversa, lunga più di cinque secoli.
Nonostante la Contrada si stia modificando profondamente, un filo conduttore lega passato e presente, e speriamo anche futuro. Questo filo è la Tradizione, termine che non significa conservazione bensì evoluzione: quella iniziata nel momento stesso in cui la Contrada è nata.
La Contrada, l’istituzione nata dalle schiere, dalle brigate e dalle compagnie del Rinascimento, è, o dovrebbe essere, un qualcosa di corale, di collettivo. Dovrebbe essere costituita da individui, con le loro caratteristiche e i loro caratteri, però uniti e solidali tra di loro tanto da formare una sola comunità: appunto, la Contrada.
Purtroppo, invece, capita di frequente che questa comunità sia divisa, frazionata in gruppi indistinti e magmatici, che si formano e si scompongono secondo logiche di basso livello e che trovano la loro unica ragione di esistere nel contrapporsi a un altro gruppo. Frammenti di una comunità che si rivelano incapaci tanto di costruire quanto di preoccuparsi del futuro, e soprattutto orgogliosamente ignoranti del passato.
Anche nei secoli scorsi vi sono stati periodi difficili e personaggi turbolenti: un nome che li riassume tutti è quello di Antonio Ubaldi (ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale!). Questo irrequieto panterino voleva per forza fare il capitano della Contrada e, dopo essersi vanamente candidato nel 1766, riuscì a farsi eleggere nel 1778, con un risultato così deludente che rimase in carica solo quell’anno. L’anno dopo l’Ubaldi non si era ancora calmato, e alla testa di un gruppetto di panterini continuò a seminare discordia in Contrada, tanto da far intervenire le autorità cittadine per impedirgli di partecipare alle assemblee.
Allora la Contrada poteva difendersi da queste infezioni grazie a un anticorpo davvero formidabile: il rione-contrada. Oggi, però, una mentalità così dannosa può davvero può segnare la fine di istituzioni atipiche e fragili come le nostre Contrade, costrette a subire i danni compiuti da questi gruppi nefasti senza avere, per la prima volta nella loro storia, il supporto del rione-contrada.
La Contrada si trova così inerme, senza difesa, in balìa di agitatori che, proprio come l’Ubaldi del Settecento, sono per lo più interessati a occupare le cariche strettamente legate al palio e a guerreggiare con il gruppo opposto, senza curarsi dei guasti che procurano alla Contrada.
Non comprendono, queste persone, il significato di Contrada come comunità, per loro vale solo il proprio gruppo inteso come squadra (o schiera, brigata, ecc.) perennemente impegnata nella lotta contro un altro gruppo in una guerra che non ha vincitori e, di sicuro, ha almeno una vittima: la Contrada.
Per non far regredire la Contrada al livello, semplice quanto grossolano, di squadra che partecipa a una gara, è quindi necessario attenuare gli effetti causati da questi ‘gruppettari’ ritrovando, insieme con loro o sopra di loro, l’unità che deve distinguere una Contrada. Con la consapevolezza che il solo dovere di un contradaiolo è di mantenere in vita la nostra comune Tradizione. E per far questo è indispensabile conoscerla.


(P.S. – Scommetto che se parlate di questo articolo con i membri di uno dei gruppuscoli che si azzuffano, vi dirà che è sicuramente riferito all’altro gruppo!).




2 commenti:

Unknown ha detto...

Luca Vittori: alessandro sei troppo forte, confidiamo nella tua sapienza ed esperienza

Unknown ha detto...

Marco Cappelli: Amen!