Una domanda, questa, che
a qualcuno può apparire sibillina e ad altri, invece,
inguaribilmente retorica. In realtà non è né l’una né l’altra
cosa, anzi, è piuttosto pragmatica e attuale.
Le Contrade, tutte, senza
eccezioni, da qualche decennio stanno affrontando (o forse subendo),
una trasformazione radicale: per la prima volta nella loro storia
lunga più di cinque secoli – mezzo millennio! – si trovano a
vivere, a crescere, a mantenere in vita una tradizione pur essendo
prive di quello che, fino a pochi anni fa, era il loro naturale
terreno di coltura: il rione, cioè la vera e propria contrada (con
la c minuscola, poiché contrada e rione sono la stessa cosa).
Alle loro origini, però,
le Contrade non erano così legate al territorio, tant’è vero che
nelle descrizioni delle feste tenute tra Quattrocento e Cinquecento
vengono ricordate come “schiere” (1424), “brigate” (1494) o
“compagnie” (1506). Vocaboli che possono essere interpretati come
sinonimi di squadre che partecipavano alle feste, alle gare tenute in
piazza del Campo. È solo dal Cinquecento inoltrato che s’inizia a
parlare di Contrade: quando ormai queste associazioni si erano legate
ai rispettivi rioni così stabilmente da essere identificate nei
rioni stessi.
Dagli anni Sessanta del
secolo scorso il legame tra Contrada e rione, che pareva
indissolubile, si è dissolto, e oggi coloro i quali erano
tradizionalmente definiti “nativi e abitatori” sono una minima
parte dei contradaioli. Più numerosi sono invece i “geniali”,
cioè i figli nati da genitori appartenenti alla Contrada.
Probabilmente, però, la componente che si avvia a essere più
numerosa, almeno tra i giovani, è quella costituita da coloro che
hanno scelto liberamente di aderire a una Contrada senza avere con
essa nessun legame personale o familiare.
A questo punto è inutile
distinguere se è più contradaiolo un ragazzo nato nel rione oppure
uno che invece è arrivato in Contrada quando ha avuto l’età di
uscire di casa da solo e decidere quale ambiente e quali amici
frequentare. Una distinzione inutile e, soprattutto, anacronistica:
contradaiolo oggi è chi ama e comprende le nostre tradizioni.
Quando il rione era
abitato solo da senesi, alle nostre assemblee generali partecipavano
in media una trentina di persone, tutte di sesso maschile. Ora che il
rione si è in gran parte svuotato dei suoi naturali abitanti, alle
assemblee partecipano settanta, ottanta e anche più contradaioli di
entrambi i sessi. È innegabile che nei confronti della Contrada ci
sia più attenzione ora di qualche anno fa.
A questo punto è
naturale porsi una domanda (retorica): l’attenzione dei
contradaioli è rivolta anche alla Contrada o è dedicata solo al
palio? Cos’è che desta l’interesse dei contradaioli:
l’istituzione tradizionale della Contrada, o soltanto la gara,
vissuta come l’aspetto più emozionante e coinvolgente della vita
contradaiola? La risposta è ovvia e scontata.
È però opportuno
valutare un aspetto non secondario: il palio trova la sua unicità,
il suo fascino, non tanto nella bellezza della piazza del Campo, non
solo nella coreografia della passeggiata storica, ma soprattutto nel
suo passato, nella sua vita, ininterrotta ma sempre diversa, lunga
più di cinque secoli.
Nonostante la Contrada si
stia modificando profondamente, un filo conduttore lega passato e
presente, e speriamo anche futuro. Questo filo è la Tradizione,
termine che non significa conservazione bensì evoluzione: quella
iniziata nel momento stesso in cui la Contrada è nata.
La Contrada,
l’istituzione nata dalle schiere, dalle brigate e dalle compagnie
del Rinascimento, è, o dovrebbe essere, un qualcosa di corale, di
collettivo. Dovrebbe essere costituita da individui, con le loro
caratteristiche e i loro caratteri, però uniti e solidali tra di
loro tanto da formare una sola comunità: appunto, la Contrada.
Purtroppo, invece, capita
di frequente che questa comunità sia divisa, frazionata in gruppi
indistinti e magmatici, che si formano e si scompongono secondo
logiche di basso livello e che trovano la loro unica ragione di
esistere nel contrapporsi a un altro gruppo. Frammenti di una
comunità che si rivelano incapaci tanto di costruire quanto di
preoccuparsi del futuro, e soprattutto orgogliosamente ignoranti del
passato.
Anche nei secoli scorsi
vi sono stati periodi difficili e personaggi turbolenti: un nome che
li riassume tutti è quello di Antonio Ubaldi (ogni riferimento a
persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente
casuale!). Questo irrequieto panterino voleva per forza fare il
capitano della Contrada e, dopo essersi vanamente candidato nel 1766,
riuscì a farsi eleggere nel 1778, con un risultato così deludente
che rimase in carica solo quell’anno. L’anno dopo l’Ubaldi non
si era ancora calmato, e alla testa di un gruppetto di panterini
continuò a seminare discordia in Contrada, tanto da far intervenire
le autorità cittadine per impedirgli di partecipare alle assemblee.
Allora la Contrada poteva
difendersi da queste infezioni grazie a un anticorpo davvero
formidabile: il rione-contrada. Oggi, però, una mentalità così
dannosa può davvero può segnare la fine di istituzioni atipiche e
fragili come le nostre Contrade, costrette a subire i danni compiuti
da questi gruppi nefasti senza avere, per la prima volta nella loro
storia, il supporto del rione-contrada.
La Contrada si trova così
inerme, senza difesa, in balìa di agitatori che, proprio come
l’Ubaldi del Settecento, sono per lo più interessati a occupare le
cariche strettamente legate al palio e a guerreggiare con il gruppo
opposto, senza curarsi dei guasti che procurano alla Contrada.
Non comprendono, queste
persone, il significato di Contrada come comunità, per loro vale
solo il proprio gruppo inteso come squadra (o schiera, brigata, ecc.)
perennemente impegnata nella lotta contro un altro gruppo in una
guerra che non ha vincitori e, di sicuro, ha almeno una vittima: la
Contrada.
Per non far regredire la
Contrada al livello, semplice quanto grossolano, di squadra che
partecipa a una gara, è quindi necessario attenuare gli effetti
causati da questi ‘gruppettari’ ritrovando, insieme con loro o
sopra di loro, l’unità che deve distinguere una Contrada. Con la
consapevolezza che il solo dovere di un contradaiolo è di mantenere
in vita la nostra comune Tradizione. E per far questo è
indispensabile conoscerla.
(P.S. – Scommetto che
se parlate di questo articolo con i membri di uno dei gruppuscoli che
si azzuffano, vi dirà che è sicuramente riferito all’altro
gruppo!).
2 commenti:
Luca Vittori: alessandro sei troppo forte, confidiamo nella tua sapienza ed esperienza
Marco Cappelli: Amen!
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